Chi compra il debito italiano, quanto contano le agenzie di rating, perché sale lo spread?
(pubblicato in Avvenire il 2018-05-29, p. 9)
di
Andrea Monticini
Ogni anno lo Stato italiano ha bisogno, per poter erogare servizi, pagare stipendi e far fronte ai propri impegni di spesa di emettere 30/40 miliardi di nuovo debito pubblico perché il gestito fiscale non è sufficiente per pagare tutte le spese. Per emettere nuovo debito, il Tesoro deve trovare qualcuno disposto a concedere credito. Chi accetta di fare credito fidandosi dell’affidabilità creditizia italiana? Utilizzando i dati contenuti nell’ultimo bollettino della Banca d’Italia si riscontra come i titoli di debito pubblico italiano siano detenuti da cinque categorie di investitori: Banca d’Italia, banche, istituzioni finanziarie non bancarie, famiglie ed investitori esteri. Solo quattro però di queste cinque categorie di investitori, possono acquistare le nuove emissioni di debito: la Banca d’Italia non può acquistare titoli in asta. Individuati gli investitori, per comprendere se il Tesoro sarà in grado di continuare ad avere accesso ai mercati finanziari per emettere nuovo debito, merita sottolineare tre differenti aspetti.
In primo luogo quali soggetti faranno nuovo credito al Tesoro? Le banche italiane, per molteplici ragioni, negli ultimi mesi stanno riducendo la quota di titoli di debito pubblico detenuti ed è probabile che perseverino in questa scelta anche nei prossimi mesi. Discorso analogo per le altre istituzioni finanziarie. Pertanto, come potenziali investitori, restano solo le famiglie e gli investitori esteri.
In secondo luogo va sottolineato il ruolo importante delle Agenzie di Rating. Gli investitori esteri, per decidere se acquistare titoli di debito pubblico, utilizzano molteplici fonti informative, ma in primis ci sono i giudizi espressi dalle Agenzie di Rating (es. Moody’s), sull’affidabilità creditizia dell’Italia. Le Agenzie di Rating valutano quale sia la probabilità, per colui che presta soldi all’Italia acquistandone un titolo di stato, di vedersi rimborsare il capitale alla scadenza. Come ovvio, per avere acquirenti stranieri, che acquistino il nuovo debito pubblico è conveniente e necessario avere un buon rating. Al contrario, a fronte di un suo peggioramento, gli investitori stranieri rapidamente si dilegueranno.
In terzo luogo, lo spread. I titoli di debito, come per tutti i prestiti, richiedono il pagamento di un tasso di interesse al creditore, tanto maggiore quanto più il debitore sia ritenuto rischioso. Nell’ultima settimana lo spread, cioè la differenza tra quanto rende un titolo di stato italiano ed un corrispondente titolo spagnolo o portoghese, si è ampliato. Questo significa che gli investitori ritengono l’Italia relativamente più rischiosa della Spagna o del Portogallo. Quale è il fondamento sul quale basano il loro giudizio? Il motivo è che i piani di spesa contenuti nel contratto di governo, sono stati ritenuti fonte di preoccupazione per le mancate adeguate coperture, con conseguente messa a rischio della stabilità delle finanze pubbliche italiane o, cosa ancora peggiore la messa in discussione dell’adesione dell’Italia alla moneta unica. Pertanto, di fronte al timore di un mancato rimborso alla scadenza, gli investitori vendono i titoli di stato italiani facendo aumentare lo spread. Non c’è da restarne sorpresi. Inoltre, considerando che il 70% del debito pubblico è detenuto da residenti in Italia (banche e famiglie) è ragionevole immaginare che l’aumento dello spread sia dovuto alle vendite dei titoli di stato di operatori italiani.
Dovendo convincere, ogni anno, gli investitori affinché acquistino il nostro nuovo aggiuntivo debito, è necessario non perdere quella credibilità faticosamente costruita e conquistata nel corso di questi ultimi anni, ma non ancora consolidata e perciò facilmente perdibile in pochissimo tempo, con conseguenze concretamente più dannose e deleterie le quali ricadrebbero sui più deboli sotto forma di minori servizi, mutui più costosi, meno lavoro e maggior povertà.