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Concessioni autostradali, rendimenti e separazione tra regolatore e regolato: occorre un salto culturale
(pubblicato in Avvenire il 2018-08-29, p. 8)

di
Andrea Monticini

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Atlantia non ha la proprietà della rete autostradale, ma la concessione per riscuotere i pedaggi in cambio di tre impegni: manutenzione, pulizia e investimenti concordati con il governo. Per quale ragione si ricorre ad una concessione per gestire un’autostrada? Qual è in questo caso il giusto profitto per il gestore dell’autostrada? Il Piano Economico e Finanziario contenuto negli accordi tra il Ministero dei Trasporti e Autostrade per l’Italia è in linea con quanto avviene in altri Paesi europei? Per rispondere a queste domande occorre sottolineare due differenti aspetti. In primo luogo: il settore autostradale è un monopolio naturale, quindi un mercato in cui il numero ottimale di imprese è uno. In altre parole, contrariamente a quanto solitamente avviene, la presenza di un unico operatore, risulta essere più efficiente di una pluralità di imprese. In questi casi, sempre la teoria economica ci insegna, che da solo il mercato non è in grado di funzionare in modo ottimale e pertanto obbligatoriamente, alcune scelte di carattere politico-economico dovranno essere operate. In particolare, si possono individuare due differenti modelli di gestione del monopolio naturale: la gestione privata soggetta a regolamentazione oppure una gestione diretta pubblica. Nel primo caso, viene effettuata una gara pubblica alla quale partecipano imprese private, che competono per farsi assegnare la gestione del monopolio per un certo numero di anni. Dopo l’assegnazione, come in tutti i monopoli, per impedire che il monopolista privato aumenti in modo eccessivo la tariffa dei pedaggi, il governo impone delle restrizioni agli aumenti tariffari. Tuttavia, non è semplice determinare queste restrizioni: una tariffa (pedaggio) troppo basso, al limite appena superiore ai costi sostenuti dal gestore dell’autostrada, incentiva il monopolista all’inefficienza; una tariffa (pedaggio) prestabilita senza tener conto dei costi, incentiva il monopolista all’efficienza, ma gli extra profitti che questo può realizzare sono privati ed ottenuti a spese degli automobilisti che utilizzano l’autostrada. Tra questi due estremi, nella scelta della tariffa, è compito della politica individuare e quindi adottare, quale sia la soluzione ottimale per i cittadini. Questo modello di gestione privata del monopolio soggetta a regolamentazione prevede, per fornire una soluzione efficiente, che al termine della concessione venga effettuata una nuova gara per l’assegnazione del monopolio. Per contro, nel secondo caso, con la gestione diretta pubblica, pur non essendoci il problema della ripartizione di eventuali profitti prodotti da pedaggi generosi, è difficile ottenere efficienza nella gestione dell’infrastruttura: l’esperienza degli anni passati di alcuni monopoli pubblici si è dimostrata inadeguata. Il secondo aspetto riguarda il processo di “ritiro” dello Stato dall’economia. Fino all’inizio degli anni ‘90, lo Stato italiano (in senso ampio) era coinvolto in modo diretto nell’attività di impresa, perché “controllava” imprese operanti in mercati aperti o comunque apribili alla concorrenza; esistevano aziende che operavano in monopoli naturali o legali; c’era la produzione di beni pubblici (es. la sanità). Con la crisi della lira nel 1992, lo Stato ha iniziato a ridurre il perimetro della propria azione costretto da vari fattori, quali ad esempio la necessità di risanare le finanze pubbliche, la spinta comunitaria alla liberalizzazione del mercato dei servizi, il divieto di finanziare imprese pubbliche in deficit, ecc. In questa fase è probabilmente mancata una chiara visione strategica di ciò che avrebbe dovuto continuare a fare lo Stato e ciò che avrebbero dovuto fare i privati sotto specifiche regole. In altre parole, lo Stato avrebbe dovuto scegliere in quali settori sarebbe stata da auspicare la gestione privata e sotto quali condizioni era efficiente che questo avvenisse. Successivamente, avrebbe dovuto lasciare la gestione del servizio ai privati, astenendosi dall’interferire. Purtroppo, questa separazione, tra potere politico ed economico è mancata ed il processo di ritiro dello Stato dall’economia è stato effettuato in modo inefficiente. Un chiaro esempio della inadeguatezza della scelta operata è la mancanza di gare per il rinnovo delle concessioni scadute. Il modello della concessione per funzionare non può prescindere dall’effettuare nuove gare per l’assegnazione della concessione: solo con la pressione, derivante dal timore della eventuale perdita della concessione, il concessionario avrà i giusti incentivi per garantire efficienza nella gestione. Purtroppo però nel nostro Paese, molte concessioni sono state prorogate lasciandole in gestione all’originario concessionario senza effettuare una nuova gara. Questa pratica che pure potrebbe trovare una giustificazione sulla base di benefici per l’intera collettività, manca purtroppo di trasparenza. Per questo è auspicabile che in futuro, prima di revisionare il sistema delle concessioni, venga effettuata e rispettate una sana separazione tra il potere politico ed il potere economico, in modo tale che il primo definisca le regole ed il secondo gestisca. Trattasi certo di un forte investimento in valori culturali dai quali comunque non si può più prescindere. Per concludere, nel caso specifico, Autostrade per l’Italia con un rendimento netto intorno al 7% (2013- 2017) ha goduto di un trattamento favorevole nella concessione con il Ministero dei Trasporti? La risposta è probabilmente negativa se questo numero viene confrontato sia con i rendimenti dei concessionari autostradali francesi che con quelli di altri gestori privati di servizi infrastrutturali. Ma come si è visto ci sono molti altri fattori che andrebbero considerati.

URL: http://monticini.eu/owr/2018_08_29/